Il regno di Flora

Il regno di Flora

Per sei giorni, dal 28 aprile al 3 maggio, a Roma, il Circo Massimo si popolava di persone variopinte, vestite con colori sgargianti a imitazione dei fiori. “Di vin tinte le tempie si cingono di serti intrecciati, e la splendida mensa è tutta sparsa di rose”, racconta Ovidio. Rappresentazioni teatrali, giochi circensi, bizzarrie e lazzi si susseguivano senza posa. Protagoniste di quel carnevale orgiastico erano le cortigiane. Si narra che una volta, essendo presente Catone il Censore, gli spettatori non osassero chiedere loro di denudarsi com’era abitudine, perciò gli venne consigliato di allontanarsi affinché la festa potesse svolgersi regolarmente.
Questo intervallo istituzionale dalle regole quotidiane si teneva in onore di Flora, la “Mater florum”, e da essa prendeva nome: Floralia. Ancora Ovidio di lei dice: “Vuol che godiamo il fior degli anni finché siam freschi, e che sprezziamo le spine”.
Flora era la personificazione della potenza vegetativa che presiede a tutto ciò che fiorisce. Fu proprio Ovidio, nei Fasti, a definirne la figura, ispirandosi al mito ellenico della ninfa Cloride. Cloride/Flora, mentre vagava un giorno per i campi, suscitò l’amore del dio del vento Zefiro, che la rapì. Divenuta sua sposa, ebbe in dote di regnare su tutti i fiori e donare agli uomini il miele e le semenze. Fin qui il racconto ricalca quello greco, ma lo scrittore augusteo dell’Ars amatoria e delle Metamorfosi aggiunse un episodio importante. A suo dire, anche Giunone, gelosa della singolare nascita di Minerva “partorita” dal capo di Giove, volle concepire un bambino da sola. Si rivolse perciò a Flora, che le diede un fiore il cui semplice tocco rendeva feconda una donna. Nacque così Ares, Marte, cui è dedicato il primo mese di primavera.
Fra i tanti, Flora compare in due celebri dipinti, La Primavera di Botticelli, che la colse proprio nel momento della trasformazione dall’antica ninfa alla giovane dea, e Il regno di Flora di Poussin, dove appare circondata da eroi e semidei che, alla morte, sono trasformati in fiore: Aiace, Giacinto, Clizia, Narciso, Adone.
Aiace e Giacinto, il più forte guerriero greco dopo Achille e lo splendido giovane amante di Apollo, si dividono i natali del medesimo fiore. Dal sangue di entrambi - il primo gettatosi sulla propria spada, l’altro ucciso per sbaglio durante una gara di lancio del disco - scaturisce il tenero giacinto, che per questa sua origine assume un significato funerario.
Ovidio, gran cuciniere di miti, collega i due episodi. Dopo aver pianto il proprio compagno, il dio vergò sui petali del fiore le lettere “AI”, a memoria del suo dolore, e profetò: “Verrà un giorno che un fortissimo eroe si convertirà in questo stesso fiore e sui petali si potrà leggere anche il suo nome”, il povero Aiace appunto, colto da rabbia e follia per non aver ottenuto l’onore di indossare l’armatura del defunto Achille e suicida per la vergogna.
Fin dai tempi più remoti, miti e leggende - ingredienti di simboli, allegorie, emblemi - sono bell’e pronti e molti cuochi hanno attinto alla loro dispensa…